Una delle opinioni più condivise negli ultimi tempi era che gli Stati Uniti (e forse l’Europa) sarebbero entrati in recessione nel 2023: prima probabilmente l’Europa, dato l’attuale effetto frenante dei prezzi elevati del gas naturale, e poi gli Stati Uniti, quando l’impatto degli aumenti dei tassi d’interesse della Federal Reserve inizierà a farsi sentire. Secondo i sondaggi, gli economisti prevedevano un forte rallentamento – le stime di consenso indicavano un calo della crescita nel secondo trimestre. In particolare, le curve dei rendimenti obbligazionari si sono invertite, il che è storicamente un indicatore piuttosto affidabile di un’imminente recessione (si veda Grafico 1).
Ora però questa visione diffusa ha iniziato a indebolirsi. La controprova più evidente è stata il rally degli asset rischiosi registrato da inizio anno: al 1° febbraio le azioni globali erano in rialzo di quasi l’8%, a fronte di una contrazione di 50 punti base per gli spread delle obbligazioni ad alto rendimento. La curva dei rendimenti ha lanciato un falso allarme? Forse.
Il nostro team di ricerca macro prevede ancora una recessione negli Stati Uniti. L’idea è che l’inflazione, in particolare la crescita dei salari, sia più persistente di quanto attualmente previsto dai mercati, il che obbliga la Federal Reserve ad alzare ulteriormente i tassi di riferimento per un periodo prolungato nel tentativo di indurre un forte rallentamento della crescita per ridimensionare le pressioni sui prezzi (in altre parole, la curva di Phillips è piatta).
Recessione o no?
Per scongiurare una recessione o sperare in una contrazione lieve, il presupposto è che le tendenze incoraggianti osservate di recente nell’inflazione persistano. L’inflazione mensile dei beni di base è negativa da diversi mesi e gli affitti degli alloggi dovrebbero diminuire in quanto tassi ipotecari elevati frenano l’attività del mercato immobiliare. Gli indicatori sulla crescita dei salari sono migliorati, in particolare con riferimento agli ultimi dati sulla retribuzione oraria media e all’indice del costo del lavoro.
Se queste dinamiche resteranno in gioco, la Fed potrebbe riuscire a tagliare i tassi entro la fine dell’estate, o almeno così auspica il mercato. La curva dei rendimenti invertita riflette semplicemente questo schema, ma la recessione viene evitata perché l’inflazione alla fine si rivela transitoria. La causa dell’inflazione è stata straordinaria (lockdown, poi stimoli dettati dalla pandemia e infine riaperture), e anche la sua dissipazione avverrà probabilmente in modo poco convenzionale.
L’unico neo nello scenario di “soft landing” è lo stato del mercato del lavoro statunitense. Il tasso di disoccupazione si è attestato al 3,5% (e continua a calare), mentre secondo il tracciato storico dovrebbe superare il 4% perché la crescita dei salari sia coerente con il target di inflazione core del 2% fissato dalla Fed. Il numero di posti di lavoro disponibili è rimasto elevato, il che suggerisce una domanda di gran lunga superiore all’offerta.
Sebbene l’occupazione sia tornata ai livelli pre-Covid, è comunque inferiore al livello che avrebbe probabilmente raggiunto se la pandemia non si fosse mai verificata, e anche i tassi di partecipazione più bassi stanno a significare che ci sono meno persone in grado di occupare i posti di lavoro disponibili (si veda Grafico 2).
Non è certo incoraggiante quando i banchieri centrali affermano che le loro decisioni politiche “dipendono dai dati”, ma viste le circostanze è un approccio comprensibile.
Di recente la Fed ha deciso di aumentare i tassi di altri 25 pb. Il suo messaggio – che i tassi continueranno a salire per un periodo prolungato e che è necessario un maggiore rallentamento della crescita economica – si basa sull’idea che l’inflazione salariale sia destinata a proseguire e che i prezzi dei beni non continueranno a calare tanto rapidamente.
Ad ogni modo, dopo l’ultima decisione politica, il presidente della Fed Jerome Powell ha dichiarato che se l’inflazione dovesse continuare a scendere bruscamente, la banca centrale interverrebbe tagliando i tassi. Per sapere se il segnale della curva dei rendimenti sia davvero un falso allarme, dovremo aspettare di vedere se l’inflazione calerà come sperato.
Utili azionari
La crescita del PIL statunitense ha superato le aspettative nel quarto trimestre e, non a caso, anche gli utili dell’ultima stagione di reporting hanno finora superato le previsioni degli analisti. I timori che i profit warning e le guidance negative avrebbero potuto causare una flessione del mercato non si sono concretizzati: la maggior parte degli amministratori delegati continua infatti a prevedere una domanda solida. La spesa per i consumi personali è aumentata del 5% nel trimestre (in termini nominali, annualizzati). Solo quando la domanda comincerà a indebolirsi, seguiranno probabilmente dei declassamenti.
In ogni caso, gli analisti hanno già corretto al ribasso le loro aspettative di crescita degli utili a breve termine per le società statunitensi. A fine settembre, le previsioni parlavano di una crescita degli utili su base annua del 7% nel primo semestre del 2023. Ora la stima è di -1%, in linea con le aspettative di consenso di un calo della crescita economica nel secondo trimestre.
Entro la fine dell’anno, però, gli utili dovrebbero salire di un buon 11%. Ovviamente i mercati azionari non si soffermano sulle difficoltà di breve termine, ma è evidente che si concentrano sul potenziale impulso alla crescita derivante dalla riapertura della Cina e sulla possibilità che la Fed torni il prima possibile a una politica più accomodante.
Come sempre, la domanda clou per gli investitori azionari è se le stime di crescita degli utili sono realistiche. Alla luce delle correzioni negative, le previsioni sembrano ora molto più credibili rispetto a qualche mese fa. Anche se la crescita reale negli Stati Uniti sarà negativa nel secondo e terzo trimestre, in termini nominali l’economia è ancora destinata a espandersi nel corso dell’anno, così come gli utili (si veda Grafico 3).
Il percorso dei tassi previsto dalla stessa Fed porterebbe probabilmente a un livello di PIL nettamente inferiore, nel qual caso le stime sugli utili dovranno calare ulteriormente.
Disclaimer
