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Weekly market update – Natale alle porte

Diversi fattori spiegano la rinnovata propensione al rischio osservata di recente per gli asset rischiosi e il calo dei rendimenti dei titoli di Stato. Gli investitori sembrano sempre più convinti che il ciclo di inasprimento da parte delle banche centrali sia prossimo alla fine e che Pechino stia cercando di allentare la sua strategia zero Covid.

Negli ultimi mesi, l’ipotesi di un “cambio di rotta” nelle politiche monetarie ha alimentato la ripresa degli asset rischiosi, con un aumento delle azioni globali del 14% nei mesi di ottobre e novembre. A nostro avviso, la stretta monetaria è ancora in corso. I dati sull’occupazione restano sorprendentemente solidi, in particolare negli Stati Uniti, dove la Federal Reserve (Fed) ha alzato i tassi più rapidamente.

L’ultimo rapporto sull’occupazione negli Stati Uniti ha sorpreso in positivo con numerose assunzioni (263.000 posti di lavoro netti a novembre) e un’ulteriore accelerazione degli aumenti salariali al 5,8% su base annua per gli addetti alla produzione e il personale non di sorveglianza.

Questo ritmo è decisamente troppo elevato per un ritorno duraturo dell’inflazione al target del 2,0% della Fed. A ottobre, il criterio di misura dell’inflazione privilegiato dalla banca centrale – il deflatore delle spese per consumi privati al netto di generi alimentari ed energia (PCE core) – si è attestato al 5,0%.

Con una media mensile di 392.000 nuovi impieghi netti da inizio anno, il mercato del lavoro statunitense si conferma straordinariamente forte.

I recenti movimenti di mercato ci danno l’impressione che gli investitori siano un po’ perplessi e stiano aggiustando il posizionamento dopo la forte volatilità di novembre. In una sola settimana, le azioni globali hanno perso il 3,0% (indice MSCI AC World in dollari US) e le azioni dei mercati emergenti sono scese del 2,0%, sebbene quelle cinesi continuino a salire (+1,3% per l’MSCI China in dollari US).

Il rendimento dei titoli del Tesoro USA a 10 anni è sceso di circa 10 pb al 3,40%, raggiungendo il livello minimo in quasi tre mesi. Il tasso di cambio EUR/USD si è stabilizzato oltre l’1,05 ai massimi da fine giugno.

Recessione nel 2023: inevitabile?

Le previsioni di vendita anticipano una recessione negli Stati Uniti e nell’Eurozona nei prossimi 12 mesi. Secondo i sondaggi congiunturali, il rallentamento dell’economia globale è proseguito a novembre: L’indice composito globale dei responsabili degli acquisti è sceso a 48 (da 49 a ottobre), raggiungendo il livello più basso da giugno 2020.

L’unica notizia incoraggiante di questi sondaggi è la riduzione delle pressioni inflazionistiche sui fattori produttivi. Un’interpretazione pessimistica di questo dato potrebbe implicare un calo della domanda globale. Anche gli indici dei prezzi al consumo sono scesi. Sembra che il picco dell’inflazione sia ormai superato, ma i prezzi al consumo rimarranno probabilmente elevati in termini assoluti – troppo alti per gli obiettivi di stabilità dei prezzi delle banche centrali.

Molti modi per cambiare rotta

Il ritmo degli aumenti dei tassi di riferimento sembra destinato a rallentare e la retorica delle banche centrali dovrebbe farsi meno aggressiva nelle prossime settimane. La Fed ha già dichiarato che il rialzo dei tassi previsto per il 14 dicembre sarà probabilmente di soli 50 pb (dopo quattro aumenti consecutivi di 75 pb).

Alla conferenza stampa del 14 dicembre, il presidente della Fed Jerome Powell presenterà le ultime proiezioni della banca centrale sulla crescita del PIL, sull’inflazione e sull’occupazione. Indicherà inoltre il livello dei tassi di riferimento ritenuto “appropriato” dai membri del Federal Open Market Committee (FOMC).

Sappiamo già che il livello target per le previsioni sui tassi dei fondi federali sarà più alto di quello presentato a settembre. Powell potrebbe commentare l’allentamento delle condizioni finanziarie nel periodo intercorso e il relativo impatto contrastante sugli obiettivi dell’attuale ciclo di inasprimento.

Il Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea (BCE) si riunirà il 15 dicembre. Le aspettative del mercato sull’entità del prossimo rialzo del tasso di riferimento sono oscillate, dato che a novembre l’inflazione si è attestata al 10% su base annua – un tasso cinque volte superiore al target della BCE.

Tuttavia, gli ultimi commenti – compresi quelli dei governatori delle banche centrali di Francia e Irlanda – sostengono l’idea di un incremento dei tassi di 50 pb e di una successiva traiettoria dei tassi di riferimento concordata riunione per riunione.

I funzionari hanno inoltre sottolineato la necessità di una politica monetaria restrittiva, ergo i tassi di riferimento dovrebbero superare il 2,00%. Un livello che il tasso sui depositi dovrebbe raggiungere proprio il 15 dicembre.

Il Consiglio direttivo della Bank of Canada, riunitosi il 6 dicembre, ha aumentato il tasso di riferimento di 50 pb, portandolo al 4,25%, rispetto ai +25 pb attesi dal consenso. La BoC ha prospettato un ulteriore inasprimento, affermando che “in futuro il Consiglio direttivo valuterà se il tasso di riferimento dovrà aumentare ulteriormente per ripristinare l’equilibrio fra offerta e domanda e riportare l’inflazione al target”.

Conseguenze per i portafogli

Gli investitori stanno aggiustando le loro posizioni in vista del 2023, che sarà probabilmente un anno di moderata recessione – anche se gli indici azionari e le stime sugli utili non lo riflettono ancora – e di lenta disinflazione (forse già eccessivamente scontata dai mercati). Fatichiamo a vedere una forte convinzione dietro le ultime mosse del mercato: si tratta di un cosiddetto “relief rally”? Un “rally di Natale”? Un “short covering”?

L’entità del recente calo dei rendimenti obbligazionari, in particolare nel segmento a lungo termine, solleva non pochi interrogativi, visto il probabile proseguimento della stretta monetaria nei prossimi mesi.

A nostro avviso però questo non è un motivo sufficiente per rinunciare alle azioni. Noi continuiamo a preferire i mercati cinesi e statunitensi rispetto a quelli della zona euro, anche se l’esposizione azionaria si conferma complessivamente neutrale. Sui mercati obbligazionari, i titoli investment grade (IG) denominati in euro appaiono interessanti e perciò stiamo mantenendo la nostra esposizione. Le materie prime stanno fornendo una diversificazione ai portafogli.

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