Di recente si sono tenute le riunioni di cinque grandi banche centrali: la Federal Reserve statunitense (Fed), la Banca Centrale Europea (BCE), la Banca Nazionale Svizzera e la Norges Bank, la banca centrale norvegese. I messaggi sono stati sostanzialmente gli stessi: l’inflazione è ancora troppo alta e i tassi di riferimento dovranno aumentare e rimanere a livelli elevati per un po’ al fine di riportare l’inflazione sotto controllo.
Il “dot plot” aggiornato della Fed e le previsioni economiche riflettono questa visione. Sia l’inflazione che i tassi di riferimento saranno verosimilmente più elevati di quanto inizialmente previsto. Eventuali tagli sono poco probabili prima del 2024 (linea verde, Grafico 1).
Grafico 1: Traiettoria prevista per i tassi di riferimento degli Stati Uniti e dell’Eurozona con il tracciato dei futures sui fondi federali statunitensi scontato dal mercato
Non tutti gli investitori però sembrano aver recepito il messaggio, in particolare quelli statunitensi. Già da diverse settimane, nella fattispecie dalla pubblicazione dell’Indice dei prezzi al consumo (IPC) di ottobre, gli investitori hanno previsto un rallentamento dell’inflazione, che consentirebbe alla Fed di iniziare prima del tempo a tagliare i tassi d’interesse ufficiali o, quanto meno, a invertire l’attuale rotta di inasprimento. La linea arancione nel grafico sopra mostra che i mercati stanno scontando un picco più basso del tasso sui fed fund e si aspettano un calo entro l’estate. In effetti, dopo la conferenza stampa della Fed, il livello atteso dei tassi sui fondi federali a un anno è aumentato solo leggermente (si veda Grafico 2).
Grafico 2: I mercati hanno osservato più la BCE che la Fed. Il grafico mostra le variazioni in termini di tassi di riferimento scontati dal mercato nel corso del 2022
Christine Lagarde ha avuto più successo. La sua dichiarazione secondo cui la BCE avrebbe “più strada da fare” ha sortito l’effetto desiderato sulle aspettative del mercato. Il tasso di deposito della BCE a un anno è notevolmente aumentato (linea blu nel Grafico 2).
Riteniamo che la visione degli investitori sugli asset dell’Eurozona sia corretta. Le pressioni dell’inflazione core continuano ad aumentare nella zona euro, mentre sono stabili negli Stati Uniti (si veda Grafico 3).
Grafico 3: Variazioni nell’inflazione core di Cina, Eurozona, Regno Unito e USA nel 2022
Questa stabilità però non implica necessariamente un imminente calo dell’inflazione, sufficiente a consentire alla Fed di iniziare a tagliare i tassi d’interesse entro l’estate. Basti pensare che gli ultimi dati sugli impieghi non agricoli hanno mostrato una crescita vigorosa e continua di posti di lavoro e salari. Di conseguenza, prevediamo che i rendimenti dei Treasury US, in particolare per le scadenze a 5 anni, siano destinati ad aumentare.
Il rischio è quindi quello di un’inversione del rally registrato da titoli di Stato e azioni nelle ultime settimane. Un primo segnale in tal senso potrebbe essere il sell-off dell’Indice Dow dopo la conferenza stampa della Fed. Anche quando l’andamento dei tassi si sarà invertito, le azioni rischiano di subire ulteriori contrazioni degli utili. Sebbene le stime degli utili per azione (EPS) per il 2023 siano già scese bruscamente dall’estate, si prospetta ancora una crescita degli utili del 5% su base annua per il 2023 e dell’11-14% rispettivamente nel terzo e quarto trimestre. Se, come prevediamo, l’economia statunitense sarà in recessione nella seconda metà del prossimo anno, gli utili più che aumentare finiranno per calare.
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