Dai verbali della riunione di dicembre del Federal Open Market Committee pubblicati di recente emerge come i responsabili della politica monetaria statunitense temano che gli investitori continuino a fraintendere l’impegno della banca centrale a riportare l’inflazione al target del 2%. Per raggiungere questo obiettivo infatti serviranno altri aumenti duraturi dei tassi d’interesse e un significativo rallentamento della crescita – data l’attuale solidità dell’economia statunitense – e in particolare del mercato del lavoro.
Secondo l’ultima indagine sui nuovi posti di lavoro e sul turnover (Job Openings and Labor Turnover Survey), sarebbero ancora più di 10 milioni gli impieghi creati e le stime di consenso per i prossimi dati sui posti di lavoro non agricoli prevedono un altro mese di incrementi dei salari e oltre 200.000 nuovi impieghi.
Questa forte crescita spiega il motivo per cui le proiezioni della Federal Reserve (Fed) indicano che il PCE (spesa per consumi personali, che storicamente è di circa 30 pb inferiore all’indice dei prezzi al consumo (CPI)) scenderà solo al 3,1% entro la fine del 2023 e non tornerà al target del 2% fino a dopo il 2025.
Questa stima è in linea con le stime di consenso degli economisti raccolte da Bloomberg, secondo cui l’inflazione CPI si attesterà al 3%. I prezzi di mercato, però, sembrano indicare ora un tasso alquanto inferiore, nell’ordine del 2,4% circa (media dell’ultimo mese; si veda Grafico 1).
L’inflazione potrebbe rallentare, ma…
Gli ultimi dati registrati in Europa sembrano avvalorare l’idea che l’inflazione abbia imboccato un percorso di rapida decelerazione. I prezzi sono aumentati a un ritmo più lento del previsto in Spagna, Germania e Francia.
Tuttavia, queste piacevoli sorprese sono ascrivibili più che altro dall’inatteso calo dei prezzi del gas naturale, dovuto a un inverno mite e all’impatto dei controlli governativi sulle bollette. Pertanto, sebbene di gran lunga superiori ai livelli del 2019, i prezzi sono ora inferiori a quelli antecedenti l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. Meno chiaro è se anche l’inflazione core abbia davvero iniziato a diminuire.
L’aspettativa del mercato di un rapido rallentamento dell’inflazione alimenta le speranze che negli Stati Uniti la Fed possa a beve cominciare a tagliare i tassi d’interesse (“pivot”). I futures sui fed fund lasciano intendere un calo dei tassi ufficiali a fine estate, anche se le stime della Fed prospettano un tale scenario solo nel 2024.
Le aspettative del mercato sono leggermente salite dopo la riunione della Fed di dicembre, ma sono ancora ben lungi dal picco dei tassi registrato lo scorso novembre (si veda Grafico 2).
No, i tassi di riferimento continueranno ad aumentare
Se il mercato si sbaglia (come crediamo), le prospettive sia per le azioni che per il reddito fisso appaiono cupe nel breve termine e restano tali anche nel medio termine, almeno per le azioni.
Man mano che il mercato si renderà conto che i tassi d’interesse continueranno a salire ancora per un po’, i rendimenti nominali dovrebbero aumentare. Questa dinamica sarà guidata verosimilmente dai rendimenti reali. Come abbiamo nostro malgrado osservato lo scorso anno, le valutazioni dei titoli growth ne risentiranno.
Nel medio termine, i rendimenti obbligazionari dovrebbero stabilizzarsi a un livello più elevato, offrendo agli investitori allettanti opportunità di carry.
I mercati azionari, invece, devono ancora riflettere il prossimo rallentamento della crescita degli utili. Nonostante le aspettative sugli utili per azione (EPS) negli Stati Uniti per il 2023 siano scese di quasi l’8% rispetto all’estate scorsa, si prevede ancora una crescita del 4,5% rispetto al 2022 (in calo dal 10%).
Questo dato può sembrare modesto, ma anche in caso di lieve recessione è probabile che gli utili diminuiscano anziché aumentare (si veda Grafico 3). L’ottimismo non è limitato a pochi settori: fatta eccezione per quello energetico, infatti, tutti dovrebbero registrare un miglioramento, con rialzi compresi tra il 6% e il 24%.
Dietro front della Cina sul Covid
A fungere da secondo importante catalizzatore dei mercati globali è stata un’altra svolta, ovvero l’abbandono da parte della Cina della sua rigida politica “zero Covid” a favore di un approccio incentrato sulla convivenza con il virus.
I rischi di questa nuova strategia sono evidenti. Gli ospedali potrebbero collassare e l’attività economica subire una battuta d’arresto a causa della diffusione della malattia o dell’autoisolamento di molti cittadini. A conti fatti, però, il paese dovrebbe riuscire a riaprire completamente la sua economia.
Pertanto, le opportunità migliori sui mercati azionari proverranno verosimilmente dai rendimenti relativi dei prossimi mesi. In tal senso, bisognerà a nostro avviso concentrarsi sui titoli growth di Stati Uniti e Cina rispetto a quelli dell’Europa escluso il Regno Unito.
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